Storie di vita / Fernando Raucci: una vita al servizio della musica. Dal piccolo Molise ai teatri più importanti d’Europa
LUDOVICA COLANGELO
“In ognuno di noi è presente un universo che bisogna scoprire e coltivare”. Questo pensiero da Fernando Raucci, direttore d’orchestra di origine molisane, è stato preso alla lettera. Risulta difficile tracciare il principio del sentiero che ha portato il famoso maestro a varcare conservatori prestigiosi e teatri rinomati. Una passione proveniente dalle mura domestiche, dal Dna o da quel destino che ognuno ha segnato. A raccontarci un pò della sua vita, del percorso che lo ha portato al successo e del suo legame con il Molise, sua terra d’origine, è lo stesso maestro Raucci in una lunga e appassionante intervista.
“Ho perso mio padre all’età di due anni e fin da bambino ascoltavo i dischi di musica classica a lui appartenuti. Mia madre mi ha educato alla musica. All’età di sei anni, infatti, ho iniziato a frequentare delle lezioni private e il mio maestro comprese subito il talento che possedevo. Il salto di qualità, però, è giunto a dieci anni, quando ho conseguito l’esame per iniziare a frequentare il conservatorio “Lorenzo Perosi” di Campobasso”
Il maestro di fama internazionale nel ripensare al giorno in cui si trovò, per la prima volta, di fronte alla commissione del conservatorio molisano, sorride e, con spiccata autoironia, non evita di raccontare un aneddoto, a primo impatto capace di scaturire una semplice risata ma, in realtà, una preziosa perla per comprendere il legame profondo presente tra il direttore Raucci e la musica.
“Mi consigliavano di non tentare l’ingresso in conservatorio, poiché la selezione era rigida. A me, però, la musica piaceva, ero curioso di ascoltarla. Mi piaceva, in particolar modo, quella classica. Ascoltavo spesso il primo di Listz per pianoforte e orchestra, inoltre, ero innamorato della Tosca. Le miei zie hanno tutte il nome di un’opera: Ida, Tosca, Gilda; Santa. Questo perchè anche il mio bis nonno amava la musica. Così, in quell’occasione, raccontai alla commissione questa mia passione e loro rimasero sorpresi. Mi chiesero di cantare la prima scena della Tosca e io svolsi il duetto da solo. Gli esaminatori ridevano, chiamarono anche il direttore. Superai l’ esame ed in classifica risultai, su cento, tra i primi quattro. Sempre a Campobasso ho conseguito il diploma in pianoforte e composizione. Il dramma del Molise è giunto dopo”.
Dramma? “Sì, fin da bambino, tra miei sogni, c’ era quello di diventare un direttore d’orchestra. In Molise, però, non avevo la possibilità di realizzare, a pieno, questo desiderio. Ho conseguito il diploma di laurea in direzione d’orchestra a Venezia e dopo ho preso il volo per l’ America. Prima di recarmi oltre i confini regionali credevo che fossi un gigante, ma appena ho avuto la possibilità, di confrontarmi con giapponesi, canadesi, londinesi mi sono sentito una pulce. Ho studiato e ho ottenuto degli incarichi importanti come, ad esempio, quello di direttore assistente per l’American Symphony, per l’Opera Company of Philadelphia e tanti altri da direttore. Ho raggiunto dei riconoscimenti come accadde nel 2003, dall’Accademia Europea, per le relazioni culturali ed economiche. Forse sono riuscito a realizzare qualcosa di buono”.
Qualcosa? Non pensa a chi, nonostante la passione e l’impegno, non ha raggiunto il suo stesso successo? “A chi non ha raggiunto il mio stesso successo e che, quindi, lavora nei conservatori, offre lezioni private devo dire grazie. A questa cosa ci tengo molto. Senza le basi ottenute dal conservatorio Perosi non avrei potuto far nulla, non sarei mai emerso”.
Crede che, per muovere i primi passi in un settore, le piccole realtà siano da preferire? “Non dipende da dove si inizia ad apprendere ma da quanto è aperta la mente di chi vuole crescere nella propria passione. Andare via dal Molise è stato importante, perché in regione non avevo la possibilità di sviluppare del tutto la mia propensione. Quando torno in Molise noto che molti si lamentano della realtà in cui vivono e non comprendo perché non provino a varcare il confine”.
Fuggire dal Molise o far crescere il territorio? “Non si può far crescere una piccola realtà se prima non si effettua la conoscenza altre più grandi e sviluppate. Questo modo di fare in Molise è assente. Per migliorare bisogna conoscere e apprendere dal mondo. Ciò non significa solo viaggiare ma anche conoscere le culture che si incontrano lungo il cammino. Ho lavorato in posti come Parigi, Londra, America, Vienna, Varsavia. Ho avuto la possibilità di apprendere nuove culture, sistemi diversi”.
Di quanta cultura ha bisogno il Molise? “Nel girare il mondo ho iniziato ad apprezzare il Molise, ho capito la grandezza e le potenzialità di questa regione. Il mare, il paleolitico, la Tintilia, le Mainarde. Non si è coscienti di ciò che il Molise ospita fino a quando non si effettua un confronto con altre realtà”.
La mente del maestro torna poi a qualche anno fa, a quando per la prima volta, riuscì a far raggiungere il Molise da un’importante orchestra. All’epoca aveva 28 anni. Signorina le posso raccontare un aneddoto? “Durante il primo concerto che riuscii a realizzare, in un paese molisano, alcuni spettatori dissero che l’orchestra, da me diretta, stava suonando meglio della banda invitata nel paese l’anno prima. Con tutto il rispetto, stavo guidando l orchestra fisarmonica di Austen. I musicisti erano arrivati dalla Polonia”.
Ho letto che ha dovuto affrontare dei problemi di salute. Ha temuto, durante il periodo di malattia, di dover abbandonare la musica? “Certo, temevo di non poter fare più nulla. Durante la mia vita ho fatto tanti sacrifici. La malattia è stata come aver scalato una montagna con tanta fatica e all’improvviso, raggiunta una vetta alta, precipitare al punto di partenza. La fede, che ho coltivato da sempre, mi ha salvato. Da bambino salivo sugli alberi di ulivo e immaginavo di parlare con Gesù, tutto è volontà di Dio. La vita di ognuno è segnata fin dalla nascita. Tutti abbiamo un universo interiore che sta a noi scoprire e far crescere”.
Cosa le dona la musica? “Amore, passione, sensibilità, linguaggio universale”. Un sentimento così forte verso un mondo che Raucci conosce e interpreta da sempre e di cui nemmeno in momenti difficili ha mai pensato di poter vivere senza. Un po’ come il Molise, terra dove ha iniziato, terra dalla quale ha varcato i confini, sapendo bene in fondo di non poterne farne a meno.