Cronache marziane / Le tragedie viste dai social: terreno fertile per le reazioni di massa. Quando un post e un selfie in meno non farebbero male
CRISTINA SALVATORE
In questa rubrica ho sempre affrontato qualsiasi tipo di argomento in chiave ironica. Ritengo che proprio l’ironia sia uno strumento formidabile, da usare con accortezza, per sdrammatizzare, ridere di sé o affrontare (e talvolta superare) momenti non facili. Una prodigiosa arma di sopravvivenza ma anche di resistenza all’omologazione. Una vera arte, in poche parole. Tuttavia, a causa dei tragici eventi che hanno colpito il nostro Paese (e ovviamente mi riferisco al devastante sisma in cui hanno perso la vita centinaia di persone), ritengo opportuno azionare un piccolo cambio di registro, almeno per questa volta.
Ho deciso di analizzare le singole reazioni, spesso anche reazioni di massa che, nel bene (la maggior parte) e nel male (una parte minore che comunque sembra sempre troppa), hanno trovato sui social l’ambiente adatto per nutrirsi e svilupparsi, come il sole per le margherite, nel primo caso, o l’umidità per la tigna, nel secondo.
Parto subito dalle cose belle per due motivi : 1) meritano il primo posto nella scala di attenzione del lettore, perché il lettore merita sempre il meglio; 2) perché ce ne sono state così tante che si può davvero affermare che le persone migliori siano in maggioranza e usino con parsimonia e saggezza internet e i social.
Innanzitutto è scattata una vera e propria mobilitazione di massa per portare qualsiasi tipo di aiuto agli sfollati: dalle collette, alle raccolte di beni di prima necessità, alle donazioni spassionate di danaro e sangue. Da aggiungere a tutto questo, l’arrivo in luogo (tempestivo!) dei volontari della Protezione Civile e di tutti i reparti specializzati in questo tipo di emergenza, come Vigili del Fuoco, Soccorso Alpino, unità cinofile, Croce Rossa e Polizia, giusto per elencarne alcuni.
Ha donato qualcosa, fossero pure due euro in croce, anche il nonno vedovo con una pensione di 200 euro mensili. Insomma, la solidarietà, l’empatia, lo spirito che ci rende umani si sono mostrati più forti di ogni egoismo e di ogni quotidiana preoccupazione individuale. Gente che in silenzio, con sommo rispetto verso le vittime di questa tragedia immane, si è attivata come ha potuto pur di contribuire alla ricostruzione della speranza per un futuro che, per molti, adesso sembra impossibile. Cani che hanno dato il massimo per aiutare i loro conduttori a individuare lievi sospiri provenienti dagli abissi delle macerie. Indispensabili anche loro.
Ma, purtroppo, esiste anche l’altra metà della mela. Anzi, diciamo un quarto di mela. La piccolissima parte marcia. Quella di coloro che dicono di avere a cuore chi soffre e poi spendono il tempo a lanciare frecce velenose, velenosissime, su chi gli pare soffrir meno nella vita, solo perché più lontano o diverso. Per questo quarto di mela marcia l’amore e la compassione vanno dosati come si fa con le pillole per la pressione. Conoscono più modi di amare anziché uno solo, universale, e sanno perfettamente chi merita la loro compassione e chi no. Anzi, s’incazzano proprio se scoprono che in giro c’è chi non ha la loro stessa scala graduata di empatia! Andiamo da gente di Chiesa (ma non solo) che voleva mettere gli sfollati nelle strutture e i migranti sotto le tende (cosa diamine c’entravano i migranti adesso solo Frate Indovino lo sa) a quei cattolici fatalisti che hanno interpretato il terremoto come “il segno del Signore contro utero in affitto, unioni civili e ateismo diffuso”. Il delirio. Potete capire che con questo tenore di saggezza, versata come sale sulle ferite di tutti (anche senza esplicita richiesta), chi sta davvero vivendo l’incubo da vicino s’è pure beccato un doloroso travaso di bile. E infatti sono arrivati, lesti, i commenti di disappunto da parte di alcune persone che hanno perso tutto in questo maledetto terremoto, o che erano partite per andare a scavare tra le macerie, o che avevano appena finito il turno in ospedale per assistere i superstiti, tra angoscia e speranza. Ma nulla. Anche chi era lì, e magari avrebbe avuto tutto il diritto di prendersela con il mondo intero, è stato tacciato di “buonismo”e di dire cose inesatte. Immancabilmente è arrivata persino la gaffe “prendi gli immigrati a casa tua”, rivolta a gente che la casa l’aveva persa, distrutta, ridotta in polvere. Giustamente, ogni due per tre, devono essere tirate in ballo persone che c’entrano nella situazione come la forchetta a tavola per le stelline in brodo, sennò i luoghi comuni vanno in estinzione! E poi, questa storia che uno deve accollarsi gente a casa sua solo perché ne difende i diritti, deve finire! Uno paga le tasse proprio perché il sistema funzioni, perché ci siano dei centri d’accoglienza per i rifugiati, degli ospedali per i malati, scuole e asili per i bambini, ad esempio. Se il sistema non funziona è questo che va cambiato, ammonito. Prendersela con chi lo subisce è come prendersela con le ciliegie perché costano troppo e non con chi decide il prezzo. Ma la carrellata delle perle di saggezza non finisce qui. Quel pezzettino di mela ha dato il meglio di sé dispensando consigli e ramanzine tipo “tu che parli così cosa hai fatto per questa gente?”. Come se la beneficenza fosse qualcosa da sbandierare ai quattro venti. Perché se non ti fai un ‘selfie’ mentre doni il pacco colmo di cibarie e vestiti o mentre ti dirigi in auto sui luoghi del sisma è come se non l’avessi fatto. Quindi, in base a questa teoria, per logica, se non posti le foto della lasagna appena sfornata è come se non l’avessi mai mangiata. Siamo arrivati a questo punto. Ma si continua eh, si continua con qualche saggio che mette in dubbio, in un momento in cui non c’è tempo per dubitare, il buon fine delle donazioni. Allora c’è da chiarire anche questa cosa: nessuno ci obbliga ad essere solidali, è qualcosa che viene in maniera spontanea senza creare panico inutile, sospetti sibilanti in rete. Se proprio il dubbio ci attanaglia, allora ci sono mille modi per sincerarsi che i nostri spicci arrivino a destinazione: recarci direttamente sul luogo e consegnare il denaro personalmente o affidarsi ad enti di conclamata serietà, ne è pieno. Bisognerebbe cominciare a pensare che la delinquenza è un’eccezione e non la regola. E vale per tutti i popoli del mondo.
E, infine, non posso non spendere due righe per quella porzioncina di mela (sì, sempre la stessa) che ha scagliato le sue frecce contro i giornalisti: sciacalli. Rei di lucrare sulle disgrazie altrui. Bene, forse il concetto è poco chiaro ma il giornalista è quello che fa sapere a tutti cosa succede nel mondo, in tempo reale. Una professione spesso sottovalutata ma che è di fondamentale importanza per la collettività. Un evento disastroso come questo, riguarda tutti e ha la priorità su qualsiasi altra notizia. Certo, come tutti i lavori c’è chi lo fa bene e chi no. Ma generalizzare è davvero imbarazzante. Se tutti i giornalisti sono sciacalli perché non fanno altro che riempire le pagine delle loro testate di informazioni utili per il lettore, allora tutti i medici lucrano sui malati, le pompe funebri sui morti e i pasticceri sui golosoni.
Le generalizzazioni hanno il potere collocare la morale delle persone, e il loro modo di lavorare, sullo stesso piano. Invece, per fortuna, i tre quarti della mela sono sani. È pieno di gente perbene in giro. Pieno. La minoranza sta tutta in quel quartino di mela, e neanche in tutte, per fortuna.