Bain & Co, per la Cassazione Iorio “colpevole” di un reato prescritto. Rese note le motivazioni della sentenza dello scorso 12 febbraio
Per aver affidato consulenze a una multinazionale di Milano dove suo figlio lavorava, l’ex governatore del Molise, Michele Iorio, è colpevole del reato di abuso d’ufficio.
Nella sentenza 23005, la Corte di Cassazione ha reso note le motivazioni della sentenza dello scorso 12 febbraio che annullò, solo per effetto della prescrizione, la condanna a un anno e sei mesi di reclusione inflitta a Iorio dalla Corte di Appello di Campobasso, il 18 aprile 2014.
Per i supremi Giudici “i motivi del ricorso della difesa sono infondati ma il reato di abuso di ufficio è prescritto”.
La Cassazione ha anche reso noto che le statuizioni civili a favore del Codacons vanno confermato, ma lo stesso sarà risarcito dopo un’apposita causa.
Ripercorrendo i verdetti di merito i giudici hanno inoltre sottolineato come “la ragione storica del contatto tra la Regione Molise e la multinazionale ’Bain&Company’ con sede a Milano, doveva ricondursi esclusivamente al fatto che il figlio del Presidente della Regione avesse un contatto lavorativo con tale società. Qui il figlio di Iorio aveva frequentato uno stage, poi era stato assunto con contratto a tempo determinato prima e poi a tempo indeterminato. Con delibera del 4 agosto 2003 fu assegnata alla multinazionale una consulenza sulla riorganizzazione sanitaria della Regione, e con delibera del 13 dicembre 2004 una consulenza su un progetto autostradale del tratto San Vittore-Termoli”.
“Proprio il presidente Iorio – nota la Cassazione – si era fatto originario promotore e proponente delle due successive delibere. Solo in ragione dell’avvio e del consolidamento di una possibile carriera lavorativa del figlio –proseguono dalla Suprema Corte – il Presidente della Regione si era attivato per far ottenere un primo, e poi un secondo, incarico pubblico al possibile datore di lavoro, così in concreto ingraziandoselo, al di fuori di alcuna pur atipica e informale modalità di pubblicizzazione della contingente esigenza pubblica sottesa all’incarico e dei criteri di selezione e scelta”. Tutto ciò “rendeva evidente l’obbligo di astensione dell’imputato in relazione ad entrambe le delibere, sussistendo una evidente situazione di evidente conflitto di interessi, stante l’interesse personale quantomeno indiretto proprio e del figlio”.
“Questa vicenda – ha quindi sottolineato la Cassazione – denota una palese e originaria violazione del generale principio di non favoritismo nell’azione della pubblica amministrazione”.