‘Impara l’arte’ presenta Alessia Pallotta: il teatro del necessario
SERGIO MARCHETTA
In una sera non troppo lontana ho smesso di conoscere il nome di Alessia Pallotta come un rigo qualsiasi di una qualsiasi locandina teatrale e l’ho apprezzata finalmente in azione: è stata una fortuna sedere a pochi metri dalla scena e poterne cogliere ogni singolo dettaglio espressivo. Alessia è un’attrice fatta di spigoli che sanno colpirti e angoli che sanno accoglierti; e la dote che la rende piacevole in platea è il suo saper miscelare questi due estremi con magistrale equilibrio. Alessia è una donna che sa parlare col corpo e muoversi con la voce. L’ho incontrata a casa sua in un pomeriggio di questa estate.
Com’è sbocciata la storia d’amore tra te e il teatro? “A partire da una serie di incontri e sicuramente dalla lettura. Io ho sempre letto di tutto senza tralasciare nessun genere letterario e alternando periodi di immersione intensa nei libri ad altri nei quali leggevo con minore costanza. Ma ad un certo punto ho compreso che il libro non mi bastava più e iniziava a insorgere in me l’esigenza di smettere di immaginare attraverso la lettura per iniziare a rendere “reale” la parola scritta. Perché accontentarsi di leggere il Piccolo Principe quando invece si può decidere di esserlo? E’ iniziato così il sentiero che mi ha condotto – una volta intrapresi gli studi universitari – ad avvicinarmi al teatro vero e proprio attraverso dei corsi specifici. Prima di allora mi ero sempre e solo limitata a vedere, leggere, immaginare. Iniziare a vivere in una città come Roma, frequentare il corso di Laurea in Letteratura, Musica e Spettacolo mi ha stimolato molto a concretizzare stimoli e passione”.
Il teatro ti ha cambiata in qualche modo? “In positivo senz’altro. Ma questo accade a chiunque si avvicini ad una forma d’arte. E’ la diretta conseguenza del “portare fuori” la propria essenza. Purtroppo questa necessità di esternare “ciò che si è” manca al giorno d’oggi; si preferisce tenere tutto dentro e sacrificare la propria vera essenza pur di soddisfare le mille attività di cui è costellata la vita, le frenesie, le corse imposte dal tempo. Invece avvicinarsi all’arte insegna a fermarsi, a concentrarsi e a portare fuori tutta l’interiorità: questo aiuta a vivere con molta più positività”.
L’arte è una “cosa” per pochi? “No, l’arte è per chiunque e per qualunque età. L’arte è per tutti, soprattutto per i bambini che imparano attraverso di essa a “costruire” e ad avere una visione diversa anche da adulti”.
Quando si crea quel flusso magico tra pubblico e attore? “Nel ‘qui ed ora’ il teatro è una ricezione continua e reciproca tra chi recita e chi ascolta. Un colpo di tosse di una persona in platea arriva all’orecchio del personaggio sulla scena. Ed è in quel “qui ed ora” che l’attore “ascolta” quel tossire, riceve una risata, accoglie un’emozione. Ed è questa la regola che rende diversa ogni replica di uno stesso spettacolo. Come si cambia nella vita pur essendo sempre se stessi così un personaggio può cambiare sulla scena restando sempre lo stesso. È importantissimo per l’attore essere sempre ‘hic et nunc’ sul palcoscenico e per il personaggio cambiare in funzione della scena”.
L’improvvisazione fa parte della formazione dell’attore o è una dote innata? “Imparare a recitare è partire dall’improvvisazione. A prescindere da cosa essa sia”.
Nel tuo percorso formativo la musica ha una grande rilevanza: quanto sono in simbiosi il teatro il suono? “Tutte le arti sono in simbiosi. Nel mio iter personale ho fatto un grande lavoro sul corpo; e il corpo si muove sulla base di una certa musicalità. Cercando la musicalità del proprio fisico, del proprio modo di camminare, di gesticolare, la musicalità della propria voce si trovano cose di se stessi in quanto attori e in quanto persone che non si scoprirebbero diversamente”.
Dunque il corpo riveste un’importanza rilevante per l’espressione teatrale? “Un attore che non ha un corpo “attivo” non agisce in scena e quindi non trasmette. E’ attraverso l’azione che il pubblico riceve per cui il corpo del personaggio è fondamentale. Questo non dipende dalla fisicità in senso stretto ma dalla capacità di far agire il proprio corpo. Anche nei laboratori teatrali di cui mi occupo distinguo una prima fase di pre-contatto (non ti conosco quindi non ti tocco), una fase di contatto a partire dallo sguardo e dalla conoscenza che – attraverso esercizi mirati – conduce alla terza fase di post-contatto che in un certo senso “abilita” alla scena. Il teatro è sicuramente un mezzo che agevola la quotidianità e aiuta a superare i limiti legati a problematiche di relazione corporea”.
Come vivi il silenzio? “Avendo una personalità in continuo movimento tendo a viverlo male. Quando mi fermo nasce la paura. Il silenzio è confronto con se stessi e fa paura però si può imparare a gestirlo”.
Il teatro è indossare una maschera o restare se stessi? “Credo che il teatro sia rimanere se stessi mostrando diverse facce, saper ricercare le diverse espressioni di se stessi per riuscire a donarsi al pubblico”.
Quanto è divertente fare teatro? “Tanto, tanto! Fare teatro ti offre la possibilità di essere e fare qualsiasi cosa. In realtà recitare non è tanto indossare una maschera ma vivere il proprio essere attraverso il personaggio. Nei laboratori che organizzo mi piace comunicare che il teatro non ha limiti: possiamo essere tutto! Come fanno i bambini quando animano il gioco. E se ci riusciamo da piccoli perchè non farlo da adulti? Bisognerebbe coltivare gli stimoli per non interrompere questo continuo allenarsi al “gioco teatrale”. Magari l’attore restasse sempre bambino affrontando il senso del pudore e della vergogna attraverso l’immediatezza tipica del fanciullo!”.
Quanto può metterti in crisi dover interpretare un personaggio? “Tantissimo! Entrare in contatto con il teatro mette in crisi perchè devi superare i tuoi limiti per affrontare il personaggio senza sapere dove ti porterà questo viaggio”.
Hai mai avuto indecisioni o ripensamenti lungo il tuo percorso di formazione teatrale? “Fondamentalmente questa è una tipologia di lavoro che offre soddisfazioni solo alla fine del percorso e non in corso d’opera. La vera soddisfazione rispetto ad uno spettacolo non si ha quando ne nasce l’idea e nemmeno quando lo si mette in scena la prima volta bensì dopo l’ultima replica. Forse. Di fronte a queste dinamiche apparentemente frustranti si può anche decidere di abbandonare; ma se lasciare il teatro ti fa stare male dentro, se senti di aver eliminato una parte della tua stessa vita non riuscirai mai a rinunciare veramente”.
Il coraggio di decidere che il teatro debba essere per te lavoro e vita, nonostante la crisi che investe l’arte in genere, da dove ti arriva? “Non ne ho la più pallida idea. In realtà non è coraggio ma necessità!”.
L’innesco di tutto il tuo percorso teatrale è stata la lettura. Quanto conta oggi per te leggere? E quante volte ti è passato per la mente di scrivere di tuo pugno un testo teatrale? “Per mestiere sono sempre portata a leggere per studiare. Quando invece non riesco a leggere perché ho da dire qualcosa di mio mi capita di scrivere. Il testo di “Don’t panic!” per esempio l’ho scritto durante una notte insonne; non riuscivo a “liberarmi” attraverso il corpo e allora ho dovuto scrivere per esprimermi. Scrivo quando sento la necessità di immobilizzare un’immagine o quando sono sovraffollata di pensieri”.
Si scrive per il teatro sempre con l’intento di dover piacere al pubblico, soddisfarlo? “Assolutamente no. Anche perché io non conosco il pubblico né i suoi gusti. La platea varia ogni volta. Si scrive prima di tutto per se stessi”.
Perché ti definisci un’”operatrice teatrale” anziché un’attrice? Perché io non sogno di diventare “qualcuno”; io voglio diventare “me”. La mia ambizione è quella di arrivare a realizzare la mia persona attraverso il teatro in quanto mezzo e non fine. Attualmente non riesco a darmi una definizione e non saprei assolutamente dirti come mi immagino tra dieci anni ma nemmeno tra dieci giorni. Mi piacerebbe dire a un certo punto della mia vita: “Ecco, io sono questo e sono fiera e contenta di ciò che sono diventata!”.
Al di là dei sogni, al di là delle definizioni Alessia ha la fortuna di custodire il segreto semplice ma profondo del teatro e della vita: coltivare il “qui ed ora” con tenacia e col sorriso di chi sa sperare. Il palcoscenico e il sogno sono due complici che si nutrono a vicenda.