‘Impara l’arte’ presenta Palma Spina: “Una, nessuna e meraviglia”
SERGIO MARCHETTA
Ad accogliermi in una mattinata tiepida di primavera c’è il sorriso inconfondibile e l’abbraccio di Palma. Ci prepariamo per la nostra intervista ma senza formalismi; questa sarà una semplice chiacchierata tra amici e Palma Spina sa distinguere un accessorio essenziale da un orpello superfluo. Lei si accomoda su un divano dai colori caldi mentre io preferisco starle di fronte seduto su un tronco di quercia da cui è stato ricavato uno sgabello. Ho di fronte una donna matura eppure Palma emana l’entusiasmo fresco e meraviglioso tipico degli adolescenti. Le chiedo subito:
Qual è il segreto per conservare la freschezza e il desiderio dell’adolescenza? “Nessun segreto. In realtà quando hai passione per quello che fai non avverti fatica mentre lo costruisci. Io ho una filosofia un po’ orientale rispetto alla vita: tutto ciò che mi costa fatica non è adatto a me; quando invece mi impegno in qualcosa che sento scorrere fluidamente in me quello è il sintomo che sto percorrendo la strada giusta”.
Che donna sarebbe Palma senza un palcoscenico sotto i piedi? “Io amo fare tante cose, forse perché ho ricevuto una formazione umanistica; eppure – al contrario di quanto si possa immaginare – ho intrapreso abbastanza tardi il mio percorso artistico inteso come personaggio pubblico. Ho cominciato a scrivere e ad interpretare le prime rappresentazioni dopo i trent’anni. Di sicuro se domani qualcuno o qualcosa mi costringesse per un motivo qualunque a non scrivere più o a non esprimermi più in teatro certamente ne soffrirei ma la mia vita non si fermerebbe e mi dedicherei sicuramente ad altro seppur sempre nell’ambito della comunicazione. Ho sempre pensato che questo ambito espressivo mi piacesse; fin da bambina preferivo guardare i film del neorealismo anziché i cartoni animati”.
Nell’epoca in cui spesso l’artista è frutto dei talent show qual è, secondo te, la linea di confine tra la passione e il talento? “Sono convinta che le due cose non siano necessariamente legate tra loro: una persona potrebbe nutrire una grande passione ma non possedere altrettanto talento. D’altro canto ci sono dei veri e propri talenti “sprecati” perché magari inespressi, poco considerati o semplicemente male indirizzati. Sono sempre un po’ restia a parlare con faciloneria di questi temi: quando cresci con dei miti come Franca Valeri, Alberto Sordi, Totò o Troisi fai un po’ fatica a definire “talento” un artista qualsiasi. Il talento – per esempio – è Robert De Niro che solo con lo sguardo, senza muovere un solo muscolo facciale, riesce a incuterti timore o a farti sorridere. Poi il fatto che uno “esegua bene” qualcosa su un palco, davanti a una telecamera o di fronte a un microfono non vuol dire automaticamente che si tratti di talento; cantare senza stonare non significa necessariamente essere un cantante talentuoso”.
A questo punto interrompo Palma incuriosito e le chiedo: cosa accade quando la passione sfocia nella sete di successo e nell’arrivismo? “Beh, oggi la fama e la gloria sono il fine ultimo di diversi ambiti sociali, non solo dell’arte. Basti pensare a quello che succede, per esempio, in politica: oggi ci si candida più con l’obiettivo di acquisire fama e prestigio che per vocazione e impegno civico”.
Un grande attore italiano affermava che il teatro è sinonimo di rigore e disciplina. Questo vale anche per quelle forme teatrali destinate a far sorridere il pubblico oppure le regole sono diverse? “Credo proprio che le regole non cambino. I più grandi talenti comici della storia del teatro sono stati anche degli attori drammatici eccellenti. Far ridere non è semplice, non è una leggerezza, non deve essere per forza banale né tanto meno sfociare nella volgarità gratuita. Probabilmente una interpretazione comica o satirica può richiedere meno impegno rispetto ad un ruolo drammatico ma il rigore teatrale nella costruzione del personaggio resta lo stesso se vuoi trasmettere emozione”.
Palma, hai avuto anche una esperienza nel cinema interpretando un ruolo nel film “La patente”. Le esigenze del grande schermo sono meno rigorose di quelle teatrali? “La grossa differenza che si avverte immediatamente è che nel cinema il risultato finale lo vedi dopo il montaggio. Nel teatro, invece, il riscontro è immediato e mai filtrato o “montato”. Sinceramente a me piace il pubblico! A me piace parlare al pubblico! Sono una monologhista fondamentalmente. Di conseguenza preferisco il teatro vivo, vero e verista”.
Quando ti capita di lavorare all’interno di un cast variegato ti senti a tuo agio dividendo la scena con colleghi uomini o donne? “Non fa differenza. Io mi sento a mio agio con l’intelligenza! Che poi essa sia incarnata da un uomo o da una donna, da una comparsa o da un primo attore non ha grossa importanza”.
Per un attore tra le doti e le necessità fondamentali ci sono la mimica e la presenza scenica. A me, invece, della Palma Spina attrice, ha colpito in maniera fulminea il timbro vocale affascinante e magistralmente versatile nelle incursioni dialettali quando vuoi caratterizzare alcuni tuoi personaggi. “Sono convinta che il timbro di una voce sia un elemento caratterizzante a prescindere dall’arte recitativa; ci sono operatori telefonici che riuscirebbero a venderti di tutto per il solo fatto di ammaliarti con il loro tono di voce. È chiaro che per un attore il mezzo vocale ha un’importanza ancora maggiore. Ma da solo non basta. Quando si tratta di interpretare a teatro è essenziale che la voce e il corpo diventino una cosa sola. Forse fa eccezione qualche attore caratterista che fa del proprio timbro il punto di forza ma generalmente la voce è a servizio dell’emozione che vuoi trasmettere al pubblico”.
Entriamo in qualche dettaglio relativo alla tua produzione: recentemente è andato in scena il dramma ispirato alla vicenda di Fonzo e Delicata, con grande successo di pubblico. “Si tratta di un lavoro che mi è stato commissionato per drammatizzare le voci tra storia e leggenda relative alla Campobasso del 1500 e in particolare alla tormentata storia d’amore tra Fonzo Mastrangelo e Delicata Civerra, due giovani appartenenti alle fazioni rivali dei Crociati e dei Trinitari. Il fulcro della vicenda ha poco di originale nel senso che la trama ricalca altre vicende simili appartenenti alla tradizione e alla letteratura di altre latitudini; basti pensare alla storia di Giulietta e Romeo. Dunque il mio lavoro non è stato tanto quello di scrivere qualcosa di originale bensì ho dovuto costruire – a partire dal dato storico – gli altri personaggi e articolarli nella drammaturgia della storia. Dopo la prima rappresentazione che è stata messa in scena ci sarà una replica nel mese di aprile al Teatro Savoia di Campobasso. Non nascondo, però, che sarebbe meraviglioso riuscire a rappresentare il dramma di Fonzo e Delicata nello scenario naturale del Castello Monforte, che purtroppo attualmente non versa in ottime condizioni”.
Quanto serve a te, in quanto attrice, sublimare sul palco le piccole o grandi finzioni che caratterizzano il vissuto reale quotidiano? “Penso di essere una grande osservatrice ma tendenzialmente evito di portare nei miei testi teatrali gli aspetti e le vicende della mia vita personale. Suppongo che sarebbe quanto meno presuntuoso immaginare che il proprio vissuto possa essere raccontato, risultare interessante o addirittura meritare il costo di un biglietto. La mia è una vita ordinaria ma mi diverto a catturare e attingere da ciò che vedo o sento dagli altri: è molto più interessante e meno autoreferenziale”.
Il teatro è indubbiamente cultura. E cultura è sinonimo di educazione. Come riuscire a educare le nuove generazioni alla cultura del teatro, considerato comunemente distante o addirittura noioso? “Semplice: non portiamo le scuole a teatro bensì gli attori in classe. Per il ragazzo andare a teatro non deve significare “evadere le lezioni” ma approfittare di un’occasione di curiosità che possa poi trasformarsi nel voler tornare in teatro spontaneamente. Occorre educare i giovani al gusto del teatro tenendo conto della meraviglia dello spettacolo dal vivo. La missione è quella di coinvolgere e stravolgere i sensi attraverso il teatro”.
Questa non sarebbe l’ultima domanda ma purtroppo non posso costringere Palma a soddisfare le mie curiosità all’infinito: parlare con lei è stato come viaggiare nella sua passione artistica. Di certo non abbiamo trovato la formula segreta per diventare talenti del palcoscenico; sicuramente non abbiamo discusso accademicamente di arte scenica. Ma la forza e il fascino di Palma Spina risiedono proprio nella sua schietta semplicità che si rivela di volta in volta come il mezzo più efficace per traghettare le emozioni da un cuore d’artista a una platea di occhi curiosi.